Articolo 13 - Costituzione italiana

 

La Costituzione italiana nell’art. 13 Co. 1 tutela la libertà personale, proclamandola inviolabile. È evidente che è una libertà essenziale per ogni individuo; essa è il fondamento di tutte le altre libertà. Se non ci fosse la libertà personale, non potrebbero esistere la libertà di circolazione, di riunione, di associazione, di religione, di manifestazione del pensiero, di domicilio ecc.
È necessario chiedersi il significato della libertà personale. Per una parte della dottrina, questa libertà viene intesa in senso “fisico”, cioè libertà dell’individuo da interventi esterni che potrebbero limitare la libertà di movimento. Per altri giuristi (Barile, Guarino), la libertà personale deve essere interpretata non solo in senso fisico ma anche come libertà morale, cioè l’individuo è libero di autodeterminare i propri comportamenti. Tale libertà viene riconosciuta come “inviolabile”, cioè ineliminabile come tutti i diritti naturali. Senza dubbio è una garanzia che sussiste non solo nei confronti dei privati ma anche verso le autorità pubbliche (compreso lo Stato). Il riconoscimento costituzionale di questa libertà è una grande conquista rispetto a quanto avveniva in passato, in cui si rischiava di rimanere in prigione per un tempo indeterminato, perché tutto dipendeva dalla volontà del sovrano o dei più potenti; in sostanza, si rischiava di essere privati della libertà senza nessun motivo e senza nessuna garanzia. A questo punto è spontaneo farsi una domanda: come si concilia questa libertà personale con i provvedimenti restrittivi di tale libertà che sono di competenza della Magistratura? L’ art. 13 della Costituzione italiana dichiara nel 2° comma che non è ammessa nessuna forma di detenzione (reclusione), di ispezione (ricerca delle tracce di reato), di perquisizione personale (ricerca del corpo del reato),  se non c’è un atto motivato del giudice che interviene nei casi e modi previsti dalla legge; in tal modo si stabilisce che sono ammesse soltanto le restrizioni previste da apposite leggi (riserva di legge) e che siano disposte da un giudice con un atto motivato (riserva di giurisdizione). Pertanto, le autorità di pubblica sicurezza (polizia, carabinieri ecc.) non possono agire contro il singolo individuo spontaneamente ma solo su mandato o incarico del giudice che abbia deciso in maniera motivata. Nei casi eccezionali in cui vi è una urgenza e necessità e non si può attendere l’intervento del giudice, come si devono comportare le autorità di pubblica sicurezza? Se una persona viene colta sul fatto, cioè in flagranza di reato e bisogna intervenire immediatamente per fermarla, chi è legittimato a fermarla e a quali condizioni?

L’art. 13 co. 3 Cost. Prevede che le autorità di pubblica sicurezza (Polizia di Stato, Arma dei carabinieri, Guardie di Finanza) hanno la possibilità di adottare misure limitative della libertà personale; però in questi casi eccezionali la persona va garantita dall’eventuale uso arbitrario del potere e pertanto i provvedimenti che vengono presi hanno un carattere provvisorio. Infatti le autorità di pubblica sicurezza hanno l’obbligo di comunicare al giudice i provvedimenti restrittivi della libertà personale entro 48 ore da quando sono stati compiuti. Il giudice, a sua volta, deve convalidare il provvedimento nelle successive 48 ore, altrimenti tale provvedimento è revocato e rimane privo di effetti

La Costituzione nel penultimo comma dell’art. 13 proibisce espressamente ogni mezzo di tortura. Nella realtà attuale potrebbe apparire superfluo questo principio, ma il riferimento alla tortura va inteso nel senso di divieto di qualunque trattamento coercitivo sia fisico che psicologico. Infine, il testo costituzionale affida ad una legge ordinaria il compito di stabilire il limite massimo della carcerazione preventiva (attualmente denominata custodia cautelare) per un individuo in attesa di processo, cioè in attesa che sia definitivamente accertata la sua colpevolezza o innocenza.

 

Prof.ssa Giuseppina Ronsisvalle