Il termine “diritto” deriva dal latino “directus”, indicando quelle regole che si “dirigono” all’osservanza dei cittadini. Esso è un mezzo, nelle mani dello Stato, per la guida e la regolamentazione della società.
Le norme instaurano dei rapporti tra i consociati; precisamente, la norma giuridica impone dei doveri a carico dei consociati, ma per ogni dovere crea un diritto (una pretesa) a favore di un altro soggetto.
Considerando il diritto come una regola di condotta o come un complesso di norme che regolano i rapporti tra i consociati, la denominazione appropriata è quella di diritto oggettivo.
Quando si dice che “un individuo ha il diritto di ……………” si fa riferimento al diritto riconosciuto da una norma ad un soggetto che gli permette di esigere dagli altri l’osservanza del comportamento imposto dalla norma. In questo caso si parla di diritto soggettivo (esempio: il proprietario di un terreno può pretendere che nessuno entri nel suo appezzamento di terreno). Pertanto, il diritto soggettivo è “la facoltà che dalla norma deriva al singolo di agire per la tutela di un suo interesse e di ottenere dagli altri una certa condotta” ( l’espressione latina è “ius est facultas agendi”). Per esempio: se Carlo ha un debito nei confronti del signor Rossi, questi ha un diritto di credito nei confronti di Carlo.
Pertanto la parola “diritto” può essere usata sia in senso oggettivo, come insieme delle norme giuridiche vigenti in uno Stato, sia in senso soggettivo, come potere riconosciuto a una persona di pretendere dagli altri un determinato comportamento. È evidente che si tratta di due aspetti dello stesso fenomeno!