La nota dominante del capitalismo è la libertà: essa costituisce la sua forza e la sua debolezza.
La sua forza, perché ha saputo suscitare energie colossali, portando la capacità di produrre ad altezze mai sognate prima. Durante un secolo di predominio (1815-1914) il capitalismo ha operato le più profonde e rapide trasformazioni di tutti i tempi. I Paesi dell’Europa occidentale sono passati dall’assetto agricolo-artigianale dei primi dell’‘800 alle robuste strutture industriali esistenti alla vigilia della prima guerra mondiale. Inoltre il nuovo regime ha dato agli individui la possibilità di sviluppare liberamente la loro personalità e il loro spirito d’intrapresa.
Il capitalismo ha mostrato la sua debolezza perché non è stato in grado di impedire che “la sfrenata libertà di concorrenza lasciasse sopravvivere solo i più forti, cioè spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti nella coscienza”.
Le conseguenze più dolorose della “sfrenata libertà” si ebbero nel campo del lavoro, poiché i lavoratori si vennero a trovare in una situazione di assoluta inferiorità nei confronti degli imprenditori, i quali, furono portati ad approfittare della loro posizione di forza per imporre orari di lavoro che superavano spesso le dodici ore giornaliere, per corrispondere salari minimi ed avvalersi in larga misura della manodopera più a buon mercato (donne e fanciulli).